Cosa succede al Knos?

K 465 - part two
dom 20 giugno 2010 - 21:00

K 465 - part two

Domenica 20 giugno, alle ore 21.00, andrà in scena la performance coreografica "K465 - part two", uno studio a partire dal quartetto d’archi delle dissonanze (K465) di W. A. Mozart, di e con Matteo Angius, Manuela De Angelis, Caterina Inesi, Marcella Mancini, Francesca Sibona, ideazione e regia Caterina Inesi, musica Wolfgang Amadeus Mozart, ulteriori contributi musicali Marco Della Rocca, progetto luci Diego Labonia.
La performance si snoderà per tutto lo spazio delle Manifatture Knos, creando diverse scene per gli spettatori.


“La sera del 12 febbraio 1785, nella casa di Mozart a Vienna, vennero presentati sei quartetti d’archi dedicati ad Haydn; fu un incontro fra pochi intimi, per festeggiare l’ingresso di Mozart nella massoneria.
Una bella casa nel centro di Vienna, una musica che pretende la dimensione raccolta di una camera, chi la fa vivere e chi la ascolta riuniti insieme in uno spazio piccolo, a misura di sguardo e di contatto fisico; non c’è nulla di spettacolare e nessun effetto per meravigliare. Il pubblico è ospite della casa, esserci è un privilegio, la musica da camera non serve a nulla, la sua funzione è quella di non avere alcuna funzione e per questo è indispensabile.” (Sandro Cappelletto “La notte delle dissonanze”)
L'ultimo tra i quartetti presentati è il n. 19 in do maggiore K.465, noto comunemente come "Quartetto delle dissonanze", su di esso si concentra la nostra intenzione performativa.

L’idea di realizzare una performance coreografica a partire dal quartetto d’archi “delle dissonanze” di Mozart, è nata dalla fortissima seduzione operata fin dai primi ascolti del quartetto soprattutto della sua particolare, modernissima introduzione. Tale attrazione ci ha spinto a cercare una concretizzazione sotto forma di azione scenica di quell’esigenza misteriosa che si materializza in musica, una traduzione nel linguaggio del corpo della pulsione oscura mista a ilarità che risuona nel quartetto delle dissonanze. Riteniamo che questa sia un’occasione per esprimere mediante gli strumenti della coreografia, gli smarrimenti della coscienza che Mozart sicuramente conosceva.

All’inizio del quartetto il compositore mette in netta evidenza le due seconde minori che tecnicamente fanno nascere la dissonanza: la seconda minore è una risorsa espressiva usata per descrivere il caos, le tenebre, il timore, il dolore.
Ecco lo spaesamento: lo stato d’ansia, l’incertezza armonica ed espressiva si prolungano, non si placano, i contorni sfumano, entriamo nel terreno dell’inconscio e delle sue associazioni, la realtà è defamiliarizzata, il sorprendente ha sostituito il luogo comune. In fondo il tema ultimo di questa musica ci sembra essere l’emergere di qualcosa che è ingabbiato, la paura e l’urgenza della liberazione.

Il K 465, come la maggioranza dei quartetti classici, è diviso in quattro movimenti che si caratterizzano per un’incessante susseguirsi d’idee, ogni movimento contiene un argomento, ma non c'è testo, non ci sono immagini o descrizioni, non c'è canto: tutto è affidato al suono, alla sua capacità di accumulare impulsi misteriosi e grotteschi e di comunicarli ai corpi dei danzatori. I quattro movimenti sono autonomi, ma sono comunque legati da un filo rosso compositivo che li attraversa, una sorta di memoria che riaffiora.
Secondo Luciano Berio il quartetto d’archi rappresenta il paradigma di una società ideale perché ogni individualità non scompare nella dimensione collettiva, ma è necessaria e trova il suo senso compiuto se si mette al servizio di un percorso comune.
Il progetto è pensato all’interno di uno spazio non teatrale dove una linea tracciata sul pavimento disegna il perimetro delle stanze di un’abitazione, un segno lontano della casa di Vienna dove questi suoni sono nati. Le stanze della casa, delimitate da pareti virtuali, sono occupate da esseri umani che esprimono la loro personalità, intrecciano e contemporaneamente negano i rapporti, tentano disperatamente di comunicare, soffrono nell’impossibilità di trovare un percorso comune. Forse le mura fittizie della loro stanza sono l’unica cosa che è rimasta, ciò nonostante continuano a giocare.
Il pubblico entra nell’intimità di vicende suggerite, sussurrate per mezzo di un’azione performativa in cui musica e movimento giocano lo stesso ruolo, parlano la stessa inesprimubile lingua.

Il progetto prevede una riflessione sulla possibilità di mettere in scena il materiale prodotto  coinvolgendo altri codici oltre a quelli della musica e della danza che sono stati il punto di partenza. Le specifiche caratteristiche formali della musica da camera, la storia di questo quartetto e della sua presentazione nella casa di Mozart a Vienna, hanno indirizzato la nostra attenzione verso la possibilità di lavorare su una messa in scena che prevedesse una percezione da parte del pubblico diversa da quella del palcoscenico teatrale: la performance accade in una casa nella quale gli spettatori sono invitati ad entrare, dove si percepiscono da vicino le tensioni tra gli abitanti.

Un punto di riferimento teorico e storico è stato “La notte delle dissonanze” del musicologo Sandro Cappelletto, con il quale abbiamo avuto anche la possibilità di scambiare consigli e opinioni riguardanti specificamente la storia della vita di Mozart, il contenuto sociale del quartetto classico, il significato e il senso storico della dissonanza. 
La “Trilogia di New York”  di Paul Auster ci fornisce ulteriori suggestioni più specificamente letterarie, soprattutto riguardo al tema della reclusione e della delimitazione degli spazi.

Scandagliando lo specifico del rapporto tra la musica e la messa in scena, passando attraverso il senso forte del movimento del corpo del performer, intendiamo arrivare a una realizzazione scenica che ha come tema la vita all’interno degli spazi chiusi, l’assenza e l’ansia di comunicazione, le reazioni di autocombustione che si creano laddove gli esseri umani condividono reale ed emotivo.

Siamo alla ricerca di passaggi drammaturgici rigorosi, anche se non sostenuti da un supporto narrativo ma frutto di un groviglio di riferimenti culturali, suggestioni musicali e reazioni emotive.

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