opere di Giulia Gazza, Francesco Romanelli e Marco Vitale
testo di Lorenzo Madaro
opening sabato 17 gennaio h.19
Tre giovani artisti dialogano con uno spazio complesso e affascinante: attraverso linguaggi e metodi analitici differenti, riflettono sulla realtà e propongono visioni sfaccettate e in divenire.
Un luogo chiuso e inaccessibile, che però si apre potenzialmente e concretamente alla fruizione collettiva dello sguardo, accettando dialoghi e confronti: è quanto accade con Stanza, la collettiva che propone una serie di recenti riflessioni e prove di Giulia Gazza, Francesco Romanelli e Marco Vitale. I tre giovani artisti hanno "occupato" un'ala delle Manifatture Knos per sviluppare a sei mani uno spazio espositivo plurimo e vitale, potenzialmente modificabile, in ogni caso intimo, riservato. Lì hanno deciso di raccogliere le proprie recenti esperienze, riadattando lavori già compiuti in un allestimento site-specific. Dai forti accenti minimali, i lavori in mostra di Giulia Gazza evidenziano un legame con le forme primarie e le associazioni possibili tra piccoli punti, che si moltiplicano, secondo un preciso ordine, all'interno della composizione maturata su brandelli verticali di plastica. È un'ossessione controllata, verificata di volta in volta grazie a un metodo, che guida l'intera esecuzione dell'opera grazie a uno schema predefinito. I minimalisti, dicevamo. Ma anche Damien Hirst, naturalmente con presupposti completamente diversi, sono alcuni tra i riferimenti, fors'anche inconsapevoli, di questo ciclo di opere. L'uso regolare di un modulo, la lenta e perpetua ripetizione di un simbolo: sono aspetti che hanno sempre riguardato le tendenze dell'arte negli ultimi cinque decenni. Ed evidentemente anche nelle nuove generazioni si torna a riflettere sulla natura primigenia delle cose, sugli elementi formali, sugli spazi, sui moduli. È quanto conferma anche il lavoro di Francesco Romanelli, che con il progetto Poset opera su grandi cartoni retinati. Di ogni reticolo, Romanelli ha colorato di bianco un preciso numero di spazi, con un metodo che guarda alla progressione e alla scansione fisica e temporale degli spazi medesimi. È una questione di ritmo, di giochi di forza tra pieni e vuoti, sempre però scanditi da un rigore geometrico ed esistenziale, che non lascia niente al caso, adottando principi matematici nell'atto progettuale e in quello esecutivo. Il risultato si compone di grandi fogli da osservare nella loro totalità e nei dettagli puntuali che ribadiscono la natura introspettiva dell'opera stessa.
Lavora sul piano di calpestio dello spettatore, Marco Vitale, che impagina una grande installazione composta dall'accostamento di oltre duemila scatti dedicati a corpi femminili e maschili ritratti mentre una serie di riverberi psichedelici invadono la pelle nuda. C'è una riflessione attorno all'ansia di apparire, a uno stato di continua ossessione per il corpo e alla sua rappresentazione, che Vitale intercetta fotografando persone amiche nell'atto di muoversi, di mostrarsi, appunto. Il risultato è una campionatura potenzialmente inesauribile di braccia, teste e busti in movimento, che insieme danno vita a un catalogo di vanità e varietà umane anonime eppure identificabili.
Perciò la Stanza è il luogo della conoscenza, dello studio della realtà, declinato secondo attitudini talvolta più celebrali e altre volte più istintive, quasi affettive, restituendo anche tre delle possibili vie che i tre giovani artisti intendono perseguire con convinzione e dedizione.